Nuovo Regolamento Agricoltura Biologica

Apiario Didattico Riccia 2017

 

Il settore biologico, nel quale l’Italia esprime una leadership europea potendo contare su di un esercito di oltre 60.000 aziende certificate, continua a crescere in cifra doppia rispetto ad un settore alimentare che registra una crescita complessiva di solo il 2,8%. In chiara crescita anche la marginalizzazione dei prodotti biologici sul mercato. Non è estraneo a questo trend il comparto del miele.

L’apicoltura biologica, dunque, si conferma come una importante opportunità utile a differenziare il prodotto, a marginalizzare l’attività ed a facilitare la collocazione sul mercato dei prodotti apistici. Infatti possiamo affermare che il miele biologico si vende più facilmente e ad un prezzo più remunerativo del prodotto convenzionale soprattutto perché in un mercato globale, dove la concorrenza è sempre più spinta, la possibilità di certificare con trasparenza e terzietà caratteristiche distintive del prodotto è apprezzato dagli operatori e dai consumatori finali.

Per questo motivo, la recente pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’unione europea del nuovo regolamento relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici che abroga il regolamento (CE) n.834/2007 del Consiglio, è stata accolta con particolare curiosità ed attenzione dagli apicoltori.

Diverse le novità introdotte, anche significative, qualcuna di particolare interesse proprio per gli apicoltori che generalmente hanno dimensioni aziendali ridotte; il legislatore europeo non ha omesso di affrontare in maniera strutturale la questione della cera biologica.

Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto va precisato che, a scanso di equivoci, all’articolo 2 – ambito di applicazione, primo comma, viene esplicitato che la nuova regolamentazione si applica all’apicoltura e che tra i prodotti ricompresi nel campo di applicazione ricade anche la cera d’api (allegato I – altri prodotti di cui all’articolo 2, paragrafo 1).

La prima novità, apparentemente poco significativa, ma che invece può aiutare ad evitare lunghe diatribe con gli ispettori soprattutto nel corso del primo accesso post prima notifica, è quello contenuto nel Capo III – Norme di produzione / Articolo 9 – Norme generali di produzione / punto 7 che così recita “un’azienda può essere suddivisa in unità di produzione chiaramente ed effettivamente distinte per la produzione biologica, in conversione e non biologica ….”. Dunque è possibile condurre una stessa azienda in forma mista, una parte in biologico ed una in convenzionale. Ssembrerebbe così risolta, ad esempio, l’annosa questione dei terreni presenti nel fascicolo aziendale degli apicoltori – a vario titolo, che venivano “obtorto collo” assoggettati al controllo bio – con conseguenti oneri burocratici e finanziari, in virtù dell’asserito impedimento di avere una conduzione mista tra convenzionale/vegetale e biologico/apistico. Ovviamente nel caso ci si avvalga della possibilità che non tutte le unità di produzione dell’azienda siano assoggettato al controllo BIO, sarà diligenza, oltre che obbligo, dell’operatori di tenere adeguate registrazioni per mostrare l’effettiva separazione delle unità di produzione e dei prodotti.

Molto interessante, soprattutto in un’ottica di cooperazione apistica, è la possibilità di costituire gruppi di operatori ai quali gli organismi di controllo possono rilasciare il certificato “collettivo”, in luogo dei vari certificati singoli (articolo 35). Appare subito evidente la convenienza per le piccole realtà che, in caso di adesione a gruppi collettivi, verrebbero alleggeriti di non pochi oneri finanziari ed amministrativi che verrebbero ripartiti tra tutti i partecipanti al gruppo. Resta inteso che tale facoltà è concessa soltanto a operatori che hanno dimensioni aziendali contenute (incidenza del costo di certificazione superiore al 2% del fatturato che comunque non deve superare i 25.000,00 euro – o il cui valore standard di produzione biologica non è superiore a 15.000,00 euro l’anno), che svolgono tutti l’attività in prossimità geografica le une alle altre e che istituiscono un sistema di commercializzazione comune ed un piano di controlli interni. I Gruppi sono una ottima opportunità; l’importante sarà gestirla correttamente per evitare la formazione di zone grigie difficilmente controllabili, facendo sfumare i vantaggi in una nube di situazioni poco chiare.

Proseguendo l’esame del provvedimento comunitario si arriva all’articolo 38  – Norme aggiuntive sui controlli ufficiali e sugli interventi delle autorità competenti, che introduce un’ulteriore elemento di novità. Qualora l’operatore controllato per tre anni non commette non conformità può essere sottoposto alle verifiche di conformità (ispezioni) ogni due anni anziché una volta l’anno.  Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un potenziale alleggerimento degli oneri burocratici a carico degli operatori controllati. Peccato però che in Italia i controlli obbligatori rimarranno annuali (D.L. n.20 febbraio 2018) a dispetto dell’armonizzazione delle norme europee.

Marita una riflessione specifica anche il contenuto dell’allegato II – Norme dettagliate di produzione di cui al capo III – Parte II: Norme di produzione animale.

Il punto 1.1 dei requisiti di carattere generale consente esclusivamente agli apicoltori (oltre alla deroga decennale, meno giustificata, per la verità, prevista per i danesi, svedesi e finlandesi) la facoltà di non gestire terreni agricoli e di non avere l’obbligo di stipulare accordi scritti di cooperazione con un agricoltore per quanto riguarda l’uso di unità di produzione biologiche o di unità in conversione per tali animali. Sostanzialmente anche il legislatore biologico riconosce che l’apicoltore è allevamento senza terra. Questa precisazione dovrebbe risolvere una volta per tutte la diatriba con i responsabili dei CAA e con gli ispettori degli Enti di certificazione che frequentemente pretendevano l’inserimento in fascicolo di terreni con titolo formale di possesso, per giustificare l’insediamento degli alveari.

Per le api resta confermato che il periodo di conversione è di 12 mesi. Anche nel merito del periodo di conversione, il legislatore ha dedicato all’apicoltura punti specifici dirimendo situazioni che spesso, nel passato, hanno creato difficoltà di interpretazione. In particolare al punto 1.2.2 – f) si chiarisce che quando la cera biologica non è disponibile in commercio è possibile utilizzare cera non biologica se proveniente da opercoli ed è accompagnata da certificazioni analitiche rilasciate da Enti accreditati che attestano l’assenza di residui di sostanze non autorizzate per l’uso nella produzione biologica.

Per quanto riguarda il rapporto tra l’apicoltura biologica e l’ape italiana (ligustica in particolare), il nuovo Regolamento lascia ampi spazi di interpretazione, limitandosi sostanzialmente ad una linea di indirizzo molto generica. Vanno privilegiate le razze o le linee genetiche con un grado elevato di diversità genetica e tengono conto della capacità degli animali di adattarsi alle condizioni locali. Come a dire che in apicoltura biologica c’è libero arbitrio nella scelta della sottospecie da allevare (ndr su tale argomento sarebbe stato auspicabile un sforzo più intenso da parte del legislatore dando maggiore enfasi, ad esempio, alle sottospecie autoctone o, quanto meno, ben adattate al territorio. Parlare di semplice preferenza di Apis mellifera e delle sue subspecie locali non è sufficiente a dare un indirizzo preciso).

Particolare è il contenuto del punto 1.3.4.2. Annualmente il 20% delle api regine e degli sciami può essere sostituita da api regine e sciami non biologici, a condizione che le api regine e gli sciami siano collocati in alveari con favi o fogli cerei provenienti da unità di produzione biologica (ndr in tal senso, forse, sarebbe stato pià consono parlare di api regine e pacchi d’ape). Il passaggio strano è quello immediatamente successivo che consente la sostituzione annuale di uno sciame, dico uno, e di una ape regina, dico una, con uno sciame, dico uno, ed una ape regina, dico una, non biologici.

Trova conferma nel nuovo disposto normativo l’indicazione che il posizionamento degli apiari è consentito in zone di raccolto per le api costituite essenzialmente da coltivazioni ottenute con il metodo di produzione biologico o da flora spontanea o da colture trattate solo con metodi a basso impatto ambientale. Come già avvenuto con la vecchia formulazione, purtroppo, anche nella nuova versione si aprono scenari interpretativi che renderanno difficoltoso, o quanto meno non omogeneo sull’intero territorio nazionale, il giudizio di conformità delle postazioni apistiche.

Un’ultima considerazione di carattere generale. Il Regolamento prevede il concetto di conformità, superando quello attuale di equivalenza, per quanto riguarda l’importazione da paesi terzi. Ciò significa che chi vuole commercializzare prodotti biologici in Europa deve conformarsi ai nostri standard produttivi. Peccato, però, che come al solito sono state previste le deroghe che sostanzialmente renderanno pienamente applicativo questo concetto solo a partire dal 2025.

Possiamo concludere affermando che il nuovo Regolamento relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto attiene all’apicoltura, pur senza interventi stravolgenti ha introdotto elementi di chiarimento che indubbiamente renderanno meno onerosa la gestione amministrativa della produzione biologica, favorendo le relative attività di promozione e sviluppo.

Ci sono infatti tutti i presupposti affinchè il comparto apistico nazionale punti sul biologico come elemento concreto di promozione e valorizzazione delle straordinarie produzioni nazionali al fine di migliorare la competitività degli apicoltori italiani. Miglioramento della competitività di cui il settore ha davvero tanto bisogno.

Sant'Agapito 022017

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