Cera: l’avvelenata? Non esageriamo

In apicoltura i problemi non mancano. Anzi. Ultimamente le difficoltà che dobbiamo affrontare quotidianamente sono in costante crescita, sia in termini quantitativi che qualitativi. La loro complessità richiede sempre un approccio professionale che sappia fare sintesi tra le conoscenze scientifiche disponibili e le esperienze di campo degli operatori. La cera rientra sicuramente tra le problematiche più attuali. E’ opinione condivisa che le costruzioni ceree non rappresentano esclusivamente un intelaiatura meccanica con la sola funzione strutturale all’interno della famiglia di api. Il ruolo della cera in un ambito di superorganismo alveare è molto più ampio ed anche le correlazioni che intercorrono con il sistema immunitario, seppure ancora tutte da approfondire, sembrano oramai un dato acquisito.

E’ evidente dunque che la cera all’interno della filiera apistica riveste un ruolo significativo al pari di tutti gli altri elementi che interagiscono con la sanità delle nostre api e la loro produttività.

Indubbiamente esiste un comprovato problema di residui da sostanze chimiche (che non riguarda, ad onor di verità solo la cera, ma anche, ad esempio, il polline, ovviamente con livelli diversi, come evidenziato dai risultati del Progetto BeeNet) utilizzate impropriamente in apicoltura (in tal senso le contaminazioni di carattere ambientale ed occasionale sono tutte da dimostrare e, allo stato delle conoscenze attuali, molto difficilmente da accettare nelle dimensioni evidenziabili dalle analisi). Non è un mistero che, soprattutto nel passato, oggi per fortuna con minore frequenza, c’è stato un abuso di principi attivi, manipolati artigianalmente, nei protocolli terapeutici per la lotta alla Varroa. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa, recitiamo, con colpevole ritardo, noi apicoltori, oggi che ci siamo finalmente resi conto della gravità degli effetti collaterali provocati dal nostro aver abbandonato i sacri testi di apicoltura per trasformarci in piccoli alchimisti, sperando di inventare le formulazioni magiche che ci risolvessero d’emblée tutti i problemi legati alla Varroa. I residui nella cera, però, non sono una novità dei giorni attuali. Sono anni che se ne parla. Addirittura il rigido mondo dell’apicoltura biologica ne ha dovuto prendere atto, inserendo le deroghe ai Regolamenti per consentire l’utilizzo, nei periodi di conversione, di cera con presenza di residui entro ben definiti limiti temporanei.

Le note difficoltà produttive degli ultimi anni, poi, combinate con una crescente domanda di mercato, legata alle tantissime giovani, e meno giovani, leve che si stanno avviando all’attività apistica, ha generato forti tensioni di mercato, con i produttori di fogli cerei sempre più in difficoltà a soddisfare le richieste dei clienti. Come sempre, come in ogni settore, la crescita del valore del prodotto e la mancata disponibilità dei quantitativi necessari, ha attivato le menti truffaldine di chi è abituato ad imboccare scorciatoie, portando alla ribalta un ulteriore problema: la cera contraffatta da paraffina (principalmente) e da altre sostanze che vengono aggiunte per ripristinare alcune caratteristiche modificate dalla contraffazione (vedi acidità libera e valore di saponificazione).

Gli effetti che si possono avere all’interno degli alveari a seguito dell’uso di cera contaminata e contraffatta sono oggetto di ricerche attuali che si trovano ancora in una fase iniziale e, soprattutto, il più delle volte fanno riferimento a studi effettuati su livelli di contraffazione che rendono difficile anche solo l’identificazione come cera dei prodotti esaminati.

Su questo tema bisogna fare molta attenzione nel non generalizzare e, soprattutto, nell’evitare di affrontarlo con eccessiva superficialità. Non dovrebbe essere consentito, ma soprattutto non è etico, diffondere notizie su “alcuni apicoltori ….. sono stati costretti a eliminare completamente tutti i favi di recente costruzione … sulla qualità della cera ….. presenta un’elevata concentrazione di residui chimici …. idrocarburi da paraffina: 44,1%  … acido stearico: 6,4%” senza fornire elementi di conoscenza più dettagliati e approfonditi. Si crea confusione e non si fa il bene dell’apicoltura, almeno di quella seria, che rifugge i titoli ad effetto, ma lavora per affrontare e risolvere i problemi.

Piuttosto un tema che, invece, viene troppo spesso sottovalutato è l’importanza dei processi di trasformazione della cera grezza in fogli cerei, ossia del lay out presente nelle cererie e dei protocolli di lavorazione adottati. Non sempre, infatti, viene approfondita, ad esempio, la questione della sterilizzazione o dei coadiuvanti tecnici che vengono utilizzati.

Fondere la cera (temperatura di fusione tra i 62° ed i 66°C) è cosa sostanzialmente diversa da un termotrattamento in grado di abbattere la carica batterica entro limiti accettabili, soprattutto quando si parla di forme sporigene particolarmente resistenti, come quelli del Paenibacillus larvae (agente eziologico della peste americana). Non tutti gli impianti sono idonei per sterilizzare a 121°C per 20/30 minuti alla pressione di 1 atm, oppure per mantenere la temperatura a 110°C per un paio d’ore, senza sovrappressione. Servono riscaldatori con fluidi ad alta temperatura che lavorano fuori linea di stampaggio che raddoppiano i tempi di lavorazione ed i relativi costi (elemento da non sottovalutare quando si sceglie dove andare a lavorare la propria cera e si richiede la certezza della sterilizzazione). Sottovalutare la sterilizzazione è pericoloso per la salute dei nostri alveari considerando che possiamo adottare solo le buone pratiche apistiche per difenderci dalle infezioni batteriche – che pure sono presenti quasi ovunque allo stato latente – non essendo disponibili, vivaddio, prodotti registrati per la terapia chimica.

Troppo spesso non viene neanche prestata adeguata attenzione ai coadiuvanti tecnici che vengono utilizzati durante le fasi di lavorazione. Come nel delle sostanze che agevolano il distacco della cera dai rulli formatori che se non corrispondono a ben determinate specifiche tecniche, ma vengono sostituiti con più economici e generici solventi – magari scelti fra quelli per uso domestico, possono alterare le proprietà organolettiche del foglio cereo. Anche in questo caso le ripercussioni che si possono avere sulle nostre famiglie, stavolta non dal punto di vista sanitario ma per quanto riguarda la tempistica di sviluppo del foglio cereo e la correttezza delle costruzioni possono essere molto evidenti e, ovviamente, negative.

Nel concludere queste brevi note su di un argomento così complesso e delicato, è opportuno ricordare che è sempre necessario affrontare le problematiche in maniera seria, tenendo conto che a volte i titoli a effetto o le riflessioni un po’ superficiali, quando diffuse ad una platea molto ampia che ricomprende utenti di vario livello di competenza ed esperienza, può provocare pericolosi effetti boomerang che certamente non sono utili ad una crescita professionale del settore. Qualificazione degli operatori, invece, che deve essere elemento imprenscindibile per chi è interessato allo sviluppo di un’apicoltura responsabile, sostenibile, consapevole e produttiva. L’utilizzo della cera, i livelli di purezza, la scelta delle cererie più qualificate sono indubbiamente elementi di valutazione che possono fare la differenza nella gestione complessiva dell’apiario. Tutti noi, dobbiamo sentirci coinvolti nel dibattito apistico, fornendo spunti di riflessione e materie di discussione con trasparenza e serietà, puntando sempre al giusto equilibrio tra le conoscenze teoriche (certe, validate scientificamente) e quelle pratiche (altrettanto attendibili, validate dalla serietà e trasparenza dei dati). Dunque, in conclusione, la cera è avvelenata? Direi proprio di no!

Impianto Pozzilli

 

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